mercoledì 19 dicembre 2012



Ogni tanto entro in questa stanza.

Corro svelta verso di lei, a passo veloce e cuore battente.
 
Mi fermo, per riprendermi dal fiatone; una sbirciatina a cosa si scrive in giro e poi, zassss!, via di nuovo.
 
Poi, dopo qualche minuto ritorno. Passo oltre la soglia e mi avvicino al calorifero; son giorni di freddo intenso, dentro.
 
Di nuovo, zasss !, scappo via.
 
Sento una grande attrazione per questo posto, ma non riesco a starci.
 
Arrivarci di corsa, per attimi, mi innervosisce e, così, non riesco a godere della pace, perchè pace non è : mentre son qui, devo essere anche là, guardare, ascoltare, rispondere, sostenere, occuparmi, preoccuparmi, e mille altri "taskings".
 
Continuo a portare in ufficio, per la gioia dei colleghi, mille cioccolatini. Riempio il contenitore di vetro che prende posto a destra, sopra la mia scrivania, tra la stampantina termica e la torre del pc.
E' il disperato tentativo di rendere dolce il mio palato.
 
A volte mi riesce, altre no.

Fatica. Di stare, di essere

Ansia. Di stare, di essere.

Timore. Di avermi perduta per sempre.

Vorrei urlare "fanc...!" ai miei impegni di moglie, madre, donna.

Mentre tornavo a casa  - pedalando con accelerazione estrema al pensiero che c'è il pasticcio da scaldare e il forno ci mette una vita ad andare in temperatura, e poi mi arrivano gli operai a controllare la macchia sulla parete - tentavo di redarre la mia letterina a Babbo Natale.
 
"Caro babbino, quest'anno ti chiedo una cosa piccola piccola, perchè chi si accontenta gode. Vorrei che mi concedessi di poter teletrasportarmi in una città ove non conosco nessuno, e, soprattutto, ove nessuno conosce me, il tempo di poter accendermi una sigaretta e fumarmela in santa pace.".
 
Ma, si sa, non sempre si ottiene da quel "vecchietto" i regali richiesti. Anzi, a proposito, babbino, sarei in credito di parecchio. Quando tiriamo le somme?

Sgrunt. 

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