venerdì 20 giugno 2014

"Non esere in penziero perche sono cativa..."


Per come la vedo io, è vitale - per me- leggere, almeno una volta al giorno, qualcosa che mi aiuti a guardarmi dentro. E' diventata un'abitudine difficile da tradire, il risultato sarebbe non aver vissuto pienamente quel giorno.

Oggi lo è stato il  brano che - piu avanti - qui sotto riporto. 

Gli "accapo" sono miei, come miei sono i grassetti con le frasi in corsivo e maggiore dimensione: così mi piaceva, così mi impressiona.




Ci sono molte storie da raccontare in una Vita.
Qualche mattina fa, mi è toccato di raccontare alcuni episodi della mia a perfetti sconosciuti che compivano con una mattina di lavoro.
E' curioso come, a volte, nel raccontare per sommi capi alcune esperienze del vissuto di ciascuno, nell'atto dell'auto-ascoltarci, ci rendiamo conto di alcuni risvolti di queste esperienze  che mai, prima di allora, avevano richiamato la nostra attenzione.
Talvolta è una riflessione  provocata dalle domande dell'interlocutore.
E così, con docilità, mi sono trovata ad ascoltare una voce a me familiare, mentre pronunciava la risposta a "Quali sono i suoi sogni nel cassetto?", accompagnata da un dolce sorriso, poco sarcastico ma forse un po' retorico, dire "Non ne ho. Li ho realizzati tutti",senza avere la benché minima idea se questo fosse positivo o negativo. Era la mia voce. Ero io.
Eppure, in questa risposta,  trovo qualcosa di molto positivo, invece.

"Lei è materna", il giudizio scappato fuori dal professionista che, in quel momento, mi intervistava.
...ma...in questa definizione - (pausa di riflessione) -  cosa dovrei leggerci tra le righe?

...confusione...




Stamattina, raccontando come sia "nato"questo schizzo, 36 anni fa, mi sono accorta di quanto quel "non esere in penziero perche sono cativa" mi abbia reso la persona che sono.

C'è una data,nel retro di quel foglio a quadretti: 19 giugno1978. Resterà per sempre il giorno più brutto della mia vita.

Ciao mami. Come sempre, ad ogni attimo. Mi manchi. Punto.








«Gesù ha, ora, molti che amano il suo Regno celeste, ma pochi che portano la sua Croce.
Ha molti che desiderano la consolazione, ma pochi che desiderano la tribolazione.
Trova parecchi compagni di mensa, ma pochi compagni di astinenza.
Tutti desiderano godere con Lui, ma pochi sono disposti a soffrire qualche cosa per Lui.
Molti seguono Gesù fino allo spezzare del pane, ma pochi fino a bere il calice della Passione.
Molti ammirano i suoi miracoli, ma pochi Lo seguono nell'ignominia della crocifissione.
Molti amano Gesù fino a tanto che non sorgono contrarietà.
Molti Lo lodano e Lo benedicono finché ne ricevono consolazioni. Ma se Gesù si nasconde e per un poco li lascia soli, o si lamentano o cadono in un eccessivo scoramento.
Quelli, però, che amano Gesù per Gesù, e non per una loro personale consolazione, Lo benedicono in ogni tribolazione ed in ogni affanno del cuore, come nella pienezza delle consolazioni. Ed anche se Gesù non volesse mai dare loro una consolazione, continuerebbero, tuttavia, a lodarLo sempre, e sempre vorrebbero renderGli grazie. Oh! Quanto è potente l'amore per Gesù, se è puro, se non è inquinato da alcun proprio interesse o dall'amore di se stessi. Non si dovrebbero chiamare tutti mercenari, quelli che cercano sempre consolazioni? Non mostrano, forse, d'amare più se stessi che Cristo, coloro che hanno sempre a mente i loro vantaggi o i loro guadagni? Dove si potrà trovare uno che sia disposto a servire Dio senza mercede?
Raramente si trova qualcuno tanto spiritualmente elevato, da voler essere spogliato di tutto. In realtà, un vero povero di spirito, distaccato da ogni creatura, chi lo troverà? "Sarebbe prezioso come le cose portate dagli ultimi confini della terra" (Prv 31,10).
Se un uomo desse ai poveri tutte le sue sostanze, sarebbe ancora nulla.
E se facesse gran penitenza, sarebbe ancora poco.
E se avesse imparato tutte le scienze, sarebbe ancora lontano dalla mèta.
E se possedesse grande virtù e ferventissimo spirito di pietà, gli mancherebbe ancora molto: cioè, l'unica cosa che gli è estremamente necessaria.
Che cosa, dunque? Che, abbandonato tutto, abbandoni anche se stesso, esca totalmente da se stesso e non conservi neppure un briciolo dell'amore di sé. E quando avrà compiuto tutto quello che la coscienza gli ordina di compiere, sia consapevole di non aver compiuto nulla.
Non dia importanza a ciò che pure possa essere molto apprezzato, ma sinceramente si professi servo inutile, come dice la Verità: "Quando avrete fatto tutto quello che vi é stato ordinato, dite: siamo servi inutili" (Lc 17,10).
Allora sì, che uno potrà essere davvero povero e nudo nello spirito e potrà dire con il Profeta: "Sono solo ed infelice" (Sal 24,16). Eppure, nessuno è più ricco, nessuno più potente, nessuno più libero di quest'uomo, che sa abbandonare se stesso e tutte le cose, e mettersi all'ultimo posto».
(L'imitazione di Cristo II, XI)

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