domenica 1 febbraio 2015

Quanta strada...

Ho pensato alla vita
Ho pensato a "come possa essere" una vita con i nonni. Alla ricchezza traboccante della presenza di un'esperienza, più o meno lunga, fatta persona.
Poi, ho pensato ad una vita assieme alla propria famiglia.
Ho pensato a come possa essere una vita con i genitori.
Si,sai, di quelle che sei piccolino e circondato dalle coccole, dall'amore,dall'affetto, dal calore. Con dei genitori che ti coccolano e ti sgridano quando serve. Che poi, ad un certo punto, magari detesti. Vorresti non averli tra  i piedi ma con la sottile,eppure con una talvolta volta impercettibile certezza che più avanti li ritroverai; il tuo sguardo su di loro non sarà più lo stesso, difensivo, ma forse piuttosto uno sguardo di ricerca di conferme, o anche solo di ascolto, talvolta di aiuto tu, per loro, ormai adulti insieme.
 
Ho fatto questi pensieri ripensando alla mia, di vita.
Ho pensato a come, quando sono andata via di casa, avessi lasciato dietro di me frammenti di famiglia.
A come darei la mia, di Vita, pur di riabbracciare i miei genitori e i miei fratelli.
A quanto presenti siano certe assenze, per sempre.
A diciott'anni te ne vai, ti allontani da situazioni, credendo di avere ben stretta  in pugno la vita, pensando che, di tempo, ne hai ancora un'infinità e che, prima o poi, tutto si "risistema".

Poi, ti accorgi che quel prima o poi, diventerà solo un "Poi" non quantificabile in lunghezza, che non avrai modo di conoscere, finchè vivi.
 
Mentre pensavo tutti questi pensieri, il mio corpo fisico era all'interno di una chiesa, seduta al terzo banco (non di certo contando dall'altare...), mentre un sacerdote celebrava una messa di cui conoscevo a memoria letture e salmi, Vangelo e Riti conclusivi ma che, come spesso accade ultimamente, mi trapassavano tutti, quasi come io fossi o sia un colino, dove passa ogni genere di liquide parole, mentre sedimenta l'amaro, che poi prendo e puntualmente getto via.
Quest'esperienza, di oggi, mi ha aiutata a comprendere meglio che, nonostante tutto sia "perfetto", se manca il cuore, il mio in questo caso, il corpo è li, ma tu sei da un'altra parte.
In questo caso, ero nell'incubo di stanotte, dal quale mi sono svegliata in preda a un'angoscia davvero profonda. Tuttora non riesco a togliermelo dalla mente, anche se,fortunatamente, ho whatsappato mio fratello Massimo, protagonista del brutto sogno, e dopo avergli scritto una sfilza di mimanchimimanchimimanchimimanchi, senza, strategicamente, raccontargli il sogno ma solo per assicurarmi che stesse bene, lui  mi ha risposto che gli manco anch'io, e che potremmo vederci questo ferragosto... (abita in un altro continente).
Mentre ero in chiesa, ascoltando le brevi notizie riguardanti la parrocchia, il prete ha menzionato l'8 febbraio e i bombardamenti sul rifugio di via Raggio di Sole. La mente è immediatamente volata all'anno, 1944, e a conteggiare l'età di mio padre in quel frangente. Nove anni.
I miei ricordi nitidi più lontani iniziano, più o meno proprio a quell'età, otto-nove anni.
E penso al fatto che non ho mai chiesto a mio padre come avesse vissuto la guerra.
Quante cose, non ho chiesto a mio padre. O a mia madre.
Quanti discorsi non sono riuscita a fare con loro, e quanto mi manca questo.
Gran parte di me, dipende da discorsi non fatti, non detti, non ascoltati....
Forse anche da abbracci silenziosi, sorrisi illuminanti, baci rimasti tra le labbra, carezze rimaste tra le mani...
 
Mi domando quanto questo influisca nel mio essere madre.
Quanto bisogno di preghiera ... quanta strada ancora da percorrere...


 

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